La Futa, un arcobaleno di pace tra Bologna e Firenze (prima parte)

SP65 Ci sono diversi modi per raggiungere Firenze da Bologna. Se avete molto tempo una buona idea potrebbe essere quella di affrontare il viaggio a piedi e sentirvi, anche senza bisaccia e bordone, come i pellegrini romei che dal nord Europa andavano verso la Città Eterna. Se invece vi piacciono i treni e non amate la lentezza allora un biglietto del Frecciarossa, salvo ritardi imprevisti, potrebbe rivelarsi un’ottima soluzione e consentirvi di raggiungere la meta in trentacinque minuti. Ma se prediligete muovervi in auto, e con quella calma misurata che consente di cogliere la bellezza dei luoghi attraversati, la storica strada della Futa è quello che fa per voi.

Salgari diceva che scrivere è viaggiare senza la seccatura dei bagagli, ma i centosei chilometri della Futa potete percorrerli anche senza borse e valigie. In autostrada ci vuole meno di un’ora per andare da Bologna a Firenze, ma su questo contorto e ormai desueto nastro asfaltato, se vi lasciate ammaliare dalle sue sorprendenti tappe intermedie, impiegherete una giornata intera. E non ve ne pentirete.

Si parte dalla barriera gregoriana, i due edifici di Porta Santo Stefano che papa Gregorio XVI nel 1843 fece costruire come passaggio monumentale e che nella seconda metà del secolo scorso vennero adibiti a circolo anarchico e sede di collettivi. Su uno dei due l’osservatore attento vi potrà ancora scorgere, sebbene un po’ sbiadita, la scritta in tedesco “nach Florenz” e la memoria non potrà che tornare all’ultimo conflitto mondiale e al tragico periodo dell’occupazione tedesca. La Futa durante la guerra e le testimonianze della guerra sulla Futa: uno strano intreccio che ci accompagnerà lungo tutto il tracciato.

Via Murri, via Toscana e via Nazionale sono i nomi coi quali oggi vengono chiamati i primi tratti della memorabile strada, un tempo statale e oggi declassata a provinciale nella sua parte emiliana e a regionale nella parte toscana. Bastano pochi chilometri e all’improvviso ci si rende conto che la periferia di Bologna è già diventata provincia. Superati i piccoli centri di Rastignano, Carteria di Sesto e Pian di Macina si arriva a Pianoro, il comune che cinque anni fa giunse al 14° posto fra i 100 “borghi più felici” d’Italia e primo fra i comuni della provincia di Bologna. Divisa tra il nuovo centro costruito nel dopoguerra e il vecchio centro, situato tre chilometri più a sud e quasi completamente distrutto durante l’inverno 1944-45 dopo lo sfondamento della Linea Gotica da parte delle truppe alleate, Pianoro ottenne la medaglia d’oro al merito civile per le privazioni sofferte durante i sette mesi in cui il fronte si fermò sul suo territorio e per il coraggioso contributo alla lotta partigiana.

Proseguendo verso sud si arriva alla frazione di Livergnano, dalle caratteristiche case costruite direttamente nella roccia dei contrafforti pliocenici. Qui, tra ripide colline e creste dalle cime aguzze e difficilmente sormontabili, è proprio dove i soldati americani della 91ma divisione fanteria furono costretti a fermare la propria avanzata e ad acquartierarsi, per non subire altre gravi perdite sotto il fuoco tedesco. Sul lato destro della strada un monumento seminascosto dall’ombra degli alberi ricorda i caduti alleati e l’aviatore brasiliano John Richardson Cordeiro e Silva, abbattuto con il suo velivolo P47 dalla contraerea nemica. E’ possibile vedere alcuni resti del suo cacciabombardiere e innumerevoli altri cimeli militari nell’interessante Winter Line Museum curato dal sig. Umberto Magnani, dove non dovrete acquistare alcun biglietto d’ingresso e ciononostante non farete alcuna coda.

Arrivati a Loiano, dopo una lunga serie di curve amatissime dai motociclisti diretti al passo della Raticosa, non potrete non accorgervi della notevole scritta che campeggia sul muro del palazzo comunale, frase tratta da “Viaggio in Italia” di Goethe: “Gli Appennini sono per me un pezzo meraviglioso del creato”. Con questa epigrafe gli abitanti del piccolo comune noto per il suo osservatorio astronomico hanno infatti voluto ricordare uno dei tanti celebri viaggiatori che in epoche passate percorsero la Futa, anche se il grandissimo letterato di Francoforte non fu particolarmente magnanimo nei confronti della locanda che lo ospitò, quando il 21 ottobre 1786 scrisse “delle cimici voraci della Corona di Loiano”.

Soltanto sette chilometri separano Loiano da Monghidoro, eppure qui si respira un’aria diversa. Sarà forse per la sua posizione strategica che fino a 155 anni fa la collocava tra il Granducato di Toscana e lo Stato Pontificio, di cui faceva parte da più di tre secoli, oppure per la sua vocazione commerciale, resa evidente dai suoi tanti mercati e dalle due fiere tradizionali (quella dei SS. Pietro e Paolo, fiera storica dal 1861, e quella di San Michele, risalente addirittura al 1592), sta di fatto che l’antica Scaricalasino, come si chiamava questo borgo fortificato fin dal Medioevo, è un miscuglio di provenienze, accenti, sapori e profumi. La montagna a Monghidoro è piuttosto alta e lo sanno bene i ciclisti che soprattutto d’estate vi si arrampicano per poi ristorarsi con tigelle e crescentine, ma voi siete in auto e la fatica non la sentirete.

Adesso mancano solo tre chilometri al termine della prima parte del vostro viaggio e ce ne avete già una quarantina alle spalle da quando siete partiti dalla circonvallazione di Bologna. In quest’ultimo tratto la Futa corre rettilinea sul crinale ed è molto panoramica. Prima di arrivare all’abitato di Ca’ del Costa potrete scorgere sulla sinistra l’alta valle dell’Idice e a destra quella del Savena, con le cime quasi sempre innevate del Corno alle Scale sullo sfondo. Superata l’ultima località emiliana de La Ca’, nel luogo in cui un tempo si trovava la vecchia dogana pontificia, giungerete all’antico confine dove due cippi piramidali vi ricorderanno che l’Italia è un Paese veramente unico, diviso dai dialetti ma unito dalle strade.

(fine prima parte)

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